venerdì 22 giugno 2012

La difesa aerea di Taranto l'8 Settembre 1943

A metà di agosto del 1943 giunse al l’ 8° Gruppo la richiesta di mandare quattro Macchi all’aeroporto di Grottaglie per un compito non molto chiaro: si pensava alla difesa aerea del porto di Taranto o ad una missione di scorta alle navi. Il comandante di squadriglia osservò che un ufficiale in s.p.e. doveva comandare la sezione di volo e questi non poteva essere altri che Giuseppe. Gli alleati avevano ormai completato l’occupazione della Sicilia e si preparavano a sbarcare in Calabria. Che cosa dovessero fare quattro vecchi Macchi 200 in un’area dominata dai caccia nemici di alte prestazioni non era affatto chiaro; a Taranto il comandante della divisione navale avrebbe dato le sue istruzioni. L’aeroporto di Grottaglie era stato più volte bombardato e quindi non era il caso di alloggiare nell’area aeroportuale, sul prato vi erano ancora alcuni aeroplani tedeschi, ma il personale aveva preso alloggio nelle fattorie viciniori. Gli italiani avevano allestito una mensa nella scuola di ceramica di Grottaglie e G. e i suoi gregari riuscirono ad organizzare un dormitorio con alcuni materassi buttati sul pavimento di un’aula cosparsa di oggetti di ceramica parzialmente decorati. Il giorno successivo G. fu convocato dall’Ammiraglio di divisione Da Zara a bordo della nave ammiraglia , R. Nave Duilio, alla fonda nel porto di Taranto. Egli si era trasferito da Sarzana vestito con giubbotto di volo, calzoni corti, sandali e bustina copricapo oltre ovviamente al caschetto di volo, certo di compiere una missione e di rientrare in sede. Egli sapeva che i marinai erano formalisti e quindi non poteva recarsi a bordo conciato in malo modo. Cominciò la ricerca di una divisa andando a rovistare negli armadi di varie camere, finchè fu reperita una divisa da tenente pilota, appartenente sicuramente ad un collega dello stesso corso di Accademia: infatti il sarto Rossi dell’Accademia aveva cucito quel lotto di divise con filo scadente per cui alcuni mesi dopo tutte le cuciture sembravano cucite con il filo bianco. Il proprietario della divisa era irreperibile e G. ne approfittò per vestirsi in uniforme per recarsi a bordo. Gli ufficiali di marina furono estremamente gentili e si dimostrarono felici alla notizia che alcuni aeroplani della R.Aeronautica fossero giunti a Grottaglie per difendere il porto di Taranto; non immaginavano che si trattasse di quattro vecchi aeroplani che avevano essi stessi problemi di sopravvivenza. L’Ammiraglio spiegò che gli Alleati dalla Sicilia stavano per sbarcare in Calabria e pertanto bisognava organizzare l’uscita della flotta da Taranto per portarla in salvo a Trieste. Per fare ciò bisognava organizzare una copertura aerea alle navi da attuare nel momento dell’uscita dal porto fino a destinazione. Tutti i velivoli da caccia disponibili nel sud d’Italia avrebbero partecipato a questa scorta aerea, ma occorrevano due predisposizioni: mettere a punto le vedette sulle navi ed il collegamento radio nave-aereo-nave; insegnare ai capo pattuglia dei reparti aerei, che avrebbero partecipato alla scorta, il modo di pendolare lateralmente alle navi e come avvalersi del linguaggio delle ore. G. era stato mandato a Grottaglie con quattro velivoli e quattro piloti ma senza meccanici specializzati per la manutenzione. Si trattava di volare sulle navi con due velivoli, che simulavano attacchi aerosiluranti, bombardieri e ricognitori, e con altri due velivoli che effettuavano gli interventi come intercettori. I collegamenti radio non funzionavano, le vedette sulle navi non davano per tempo gli avvistamenti perché ovviamente gli incursori attaccavano con il sole alle spalle e le vedette non avevano gli occhiali da sole affumicati. Vi erano poi i palloni di sbarramento frenati e con i Macchi non era facile scansarli perché non si riusciva a vedere il cavo di ancoraggio; il vento spostava continuamente i palloni e così poteva capitare di non vedere il cavo e di urtarlo, facendosi tranciare l’ala. L’Ammiraglio stabilì che durante l’attività di volo dei Macchi i palloni di sbarramento dovevano essere tirati a terra. G. era allibito perché si voleva dare a lui troppa responsabilità: già gli aerosiluranti nemici avevano affondato la flotta italiana a Taranto due anni prima ed ora, in una situazione ancora peggiore di allora, sarebbe stato molto più facile silurare la divisione navale di Taranto. I piloti degli altri reparti da caccia italiani più agguerriti, che venivano inviati a Grottaglie per preparare la scorta aerea alla divisione navale, erano molto scettici; abituati a combattere secondo la tecnica del “dog fight”, si schernivano ad applicare le procedure previste per la scorta alle navi e chiamavano G. con l’epiteto “quello delle ore”. Il 3 settembre gli Alleati sbarcarono in Calabria; nello stesso giorno a Cassibile i plenipotenziari del governo italiano firmavano l’armistizio corto. G. era tagliato fuori dal mondo; l’unico telefono era collegato con il comando Marina di Taranto; gli aeroplani continuavano a volare ma gli specialisti per la manutenzione erano rimasti a Sarzana. Il 7 settembre G. rappresentò all’ammiraglio Da Zara che i velivoli Macchi 200 erano bisognosi di manutenzione e che era urgente sostituirli con altri quattro provenienti da Sarzana; l’Ammiraglio ordinò di sospendere i voli e di attendere la sostituzione, che non potè avvenire causa l’armistizio. L’ 8 settembre 1943 fu una giornata calda e la gente si godeva il fresco delle case, ma verso sera, improvvisamente gli abitanti di Grottaglie si riversarono sulle vie cittadine vociando e agitandosi. G. non si rendeva conto di tanta agitazione e fermò alcuni cittadini e così venne a sapere che era stato dichiarato l’armistizio. Responsabile di quattro velivoli e quattro piloti (lui compreso) lontani almeno settecento chilometri dalla casa madre ed anche dai propri familiari, Giuseppe, con ventitrè anni non ancora compiuti, si sentiva completamente fuori fase; in Accademia gli era stato insegnato come comportarsi come combattere o come prigioniero di guerra, ma nessuno gli aveva spiegato che cosa poteva significare, dal punto di vista comportamentale e dal punto di vista del diritto, la dichiarazione di armistizio. In aeroporto gli avieri scappavano per andare a casa; gli addetti alla difesa contraerea sparavano per aria con le loro mitragliere da 20 e da 40 mm.; i tedeschi si organizzavano per partire e sgombrare l’aeroporto. G. non sapeva che fare; i collegamenti telefonici non funzionavano e quindi non era possibile andare in cerca di istruzioni. I tedeschi sgombrarono l’aeroporto mettendosi in colonna e spianando le armi contro i soldati italiani e contro la popolazione civile; ogni tanto arrivava qualche aeroplano italiano proveniente non si sapeva da dove; ad un certo momento atterrò anche un velivolo da trasporto SM. 82 proveniente dal nord. G. si avvicinò in cerca di notizie ed un membro dell’equipaggio gli chiese le sue generalità e quindi estrasse di tasca una lettera e gli e la consegnò. Era l’amico Alberto che faceva sapere a G. che l’8° Gruppo Caccia stava passando in volo le linee e si recava in Sicilia per collaborare con gli Alleati; aveva saputo che Taranto aveva subìto molti bombardamenti, ma si augurava che non fosse successo nulla di grave all’amico. I dipendenti di G., un ufficiale e due sottufficiali piloti, volevano tornare al nord per avvicinarsi alle rispettive famiglie, ma ragioni di prudenza suggerivano di attendere una chiarificazione della situazione. D’altra parte da un momento all’altro sarebbero arrivate le truppe alleate a Taranto provenendo dalla Calabria e quindi poteva capitare di essere presi prigionieri e messi in campo di concentramento; infatti un bel giorno, mentre G. si trovava lungo una strada di arroccamento all’aeroporto, comparvero alcune jeeps con soldati americani armati di Thompson e con frasche infilate nella reticella dell’elmetto. “Hallò” fu la prima parola che uscì dalle labbra dei vincitori e tutto finì lì.

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